L’Ombra della psiche e il moto di Venere sono la vera identità e la storia del Diavolo

Le origini, il mito e l’aspetto di Lucifero: una grande metafora di emozioni umane e corpi celesti

È un classico di molte credenze spirituali: il male del mondo è causato da un’entità terribile, che lo incarna in tutte le sue varianti, e che lo sguinzaglia per il globo grazie ad un manipolo di mostri terrificanti quanto il loro padrone. Nel caso del Cristianesimo, l’entità in questione si chiama Lucifero. Un angelo ribelle, cacciato dal Paradiso per la sua superbia, ma determinato a farvi ritorno in futuro per prendere il posto di Dio. Può assumere qualsiasi aspetto ma, quando si mostra con il suo vero volto, ha le corna sul capo, ali da pipistrello e zampe di capra. E la stella a cinque punte, fra tutte quelle che può usare, è la sua firma preferita.

Ma siamo sicuri che esista sul serio? Può sembrare una domanda arrogante e presuntuosa, ma se si ha la mente aperta, il coraggio, la determinazione di andare a scavare fra le sue origini e fra le culture di altri popoli, ne viene fuori che la domanda è più che lecita. Perché si scopre che divinità molto più antiche hanno storie molto simili alla sua, e che la sua figura non è altro che il risultato di secoli di traduzioni, interpretazioni e accomodamenti.

Ma la verità più insospettabile che emerge è che Lucifero, e tutte le divinità simili a lui, hanno due elementi in comune: il pianeta Venere e l’insieme di emozioni e istinti dell’uomo. Il Diavolo è una grande e complessa metafora di tutti e due e, una volta compreso questo, possiamo comprendere molto di più: il bene e il male sono solo la conseguenza delle nostre credenze e delle nostre scelte, e il potere di fare l’uno o l’altro è del tutto nelle nostre mani.

Ma chi diavolo è il Diavolo?

Secondo la tradizione cristiana che va per la maggiore, c’è stato un tempo in cui Lucifero era un angelo, e viveva in Paradiso insieme ai suoi simili e al cospetto di Dio. Era l’alba dei tempi, quando l’Onnipotente non aveva ancora creato né gli umani né il mondo, ma soltanto i suoi fedelissimi angeli. Fra tutti, ce n’erano 7 che erano i maggiori arcangeli, ma Lucifero era perfino al di sopra di loro: lui era il più vicino a Dio, il favorito, il più splendente, la più bella creazione concepita fino a quel momento.

I guai cominciarono quando Dio completò la Creazione. Secondo una versione del mito, Lucifero diventò invidioso degli umani, perché il Signore iniziò a ricoprirli di più attenzioni rispetto a lui; secondo un’altra, la mira della sua invidia diventò il potere stesso di Dio. In ogni caso, Lucifero raccolse dei seguaci fra gli angeli e scatenò una ribellione con lo scopo di spodestare il Creatore. Ma la fazione di Dio ebbe la meglio, Lucifero e i suoi scagnozzi furono cacciati dal Paradiso, e da quel momento diventarono il Principe e i demoni dell’Inferno.

C’è la versione dei fatti che lo vede già da allora confinato nel più buio degli antri dell’Oltretomba, e la versione che lo vede a vagare per il mondo senza sosta. In entrambi i casi, la sua vendetta non tardò ad arrivare. Tramutato in serpente, apparve a Eva e Adamo nel Giardino dell’Eden, e convinse la donna a mangiare la mela dell’Albero della Conoscenza. Il risultato fu che Dio ne rimase talmente indignato che cacciò dal Paradiso anche loro, perciò li privò del privilegio dell’immortalità e li condannò per sempre ad affrontare le sofferenze e la morte.

Fu così che ebbe inizio il male degli uomini, e anche il grande gioco di Lucifero. Il mondo terreno diventò il suo regno e l’obbiettivo che si propose fu quello di corrompere gli umani. Potendo contare su una schiera di demoni, capace di possedere i mortali e di assumere qualsiasi forma, iniziò a inseguire lo scopo di sabotare il piano di salvezza eterna di Dio. In che modo? Inducendo gli uomini al peccato, e quindi portandoli verso la dannazione eterna.

Per contrastare il suo complotto, molto tempo dopo il Signore inviò Gesù sulla Terra, nella speranza che potesse indicare all’umanità una via per la salvezza. La risposta di Lucifero fu che provò a tentare anche lui (durante i suoi 40 giorni nel deserto) ma, siccome non ci riuscì, prese possesso di Giuda, e grazie al suo tradimento arrivò ad ottenere l’uccisione di Gesù. Ma, purtroppo per lui, non bastò neanche questo, perché fu proprio la morte di Cristo (e la sua resurrezione) a fornire all’umanità la rivelazione e la prova su come ottenere la salvezza. Il piano di Lucifero, comunque, non si arrestò lo stesso. Anzi, da allora ha sempre continuato a portarlo avanti.

Le visioni di Giovanni, però, lo hanno predetto. In futuro, Lucifero radunerà una nuova armata e, sotto forma di un gigantesco dragone rosso, muoverà un secondo attacco al Regno dei Cieli. L’Arcangelo Michele, il nuovo paladino di Dio, con l’aiuto delle milizie celesti lo sconfiggerà, e lo incatenerà per 1000 anni sul fondo dell’Inferno. Trascorso quel tempo si libererà, tenterà un terzo attacco, ma di nuovo sarà sconfitto, e questa volta sarà debellato per sempre.

L’unico vero Lucifero è il pianeta Venere

La nascita del Diavolo: una storia di influenze, traduzioni e interpretazioni

Lucifero, Satana, Diavolo, Demonio. Da secoli, sono questi e tantissimi altri i modi con cui viene chiamata la “divinità del male” della tradizione cristiana. Eppure, non è sempre stato così. In origine, un nome proprio non lo aveva nemmeno, e non era neppure considerato una figura negativa. Anzi, a volerla dire proprio tutta, andando ancora di più nel passato si scopre che la sua figura non esisteva affatto. Ma allora da dove deriva tutta la tradizione che abbiamo visto? E perché si chiama proprio Lucifero?

Tutto comincia fra 7° e 6° secolo a.C.. I Babilonesi hanno una visione del mondo in cui tanto il bene quanto il male sono opera delle divinità, che se scelgono per il secondo è perché sono caotiche e capricciose, e hanno creato gli umani solamente per usarli come schiavi. In questo stesso periodo, nelle terre confinanti del loro impero, si sta sviluppando il monoteismo ebraico, e la sua visione delle cose è del tutto diversa: c’è un solo dio, che è capace di controllare sia il bene che il male (Deuteronomio 28), e c’è anche un piano divino; se in questo mondo esiste la sofferenza, la colpa non è sua, piuttosto è dei peccati degli uomini, che per primi, con Adamo ed Eva, hanno disobbedito al volere divino e condannato tutti i loro discendenti (Genesi).

Ma, se Dio è buono, come può stare a guardare di fronte a tutto il dolore dell’uomo? La risposta viene messa nero sul bianco intorno al 600 a.C. con il Libro di Giobbe. Uno degli angeli è scettico riguardo al fatto che l’uomo possa scegliere il bene disinteressato, perciò propone a Dio di mettere alla prova Giobbe, il suo fedele più devoto. Dio acconsente e l’angelo fa capitare al povero Giobbe ogni tipo di disgrazia: ma la sua fede rimane incrollabile. Lo scetticismo dell’angelo viene così smentito, ma non mancheranno altre occasioni in cui farà notare a Dio la debolezza degli uomini: perché lui è “ha-Satan”, cioè “l’accusatore”, un angelo che ha proprio il preciso dovere (col permesso di Dio) di mettere alla prova la fedeltà degli umani.

Ma nel 587 a.C. Gerusalemme viene conquistata dai Babilonesi, e nel 550 a.C. Ciro il Grande dell’Impero Persiano conquista Babilonia. In questo modo, la religione ebraica viene profondamente influenzata dallo Zoroastrismo, la fede dominante nell’Impero. Qui c’è una divinità suprema di nome Ahura Mazdā, che ha al suo servizio 7 spiriti prediletti chiamati Ameša Spenta, capeggiati da un paladino che si chiama Spenta Mainyu. Ma c’è anche Angra Mainyu, la versione opposta di Spenta, che un giorno si ribella al potere della divinità e, insieme ai Daēva, i suoi seguaci, prende il controllo del mondo terreno, seminando fra gli uomini da quel momento in poi tutto quello che può essere il male. Cominciate già a intravedere qualche somiglianza con il Lucifero cristiano? Credo proprio di sì. Ma andiamo avanti.

Ciro il Grande concede agli Ebrei di tornare a Gerusalemme nel 539 a.C. e, da quel momento, la loro letteratura sacra porterà molto con sé di quello che hanno assimilato dai Persiani. Come si vede nel Libro di Enoch (3° – 2° sec a.C.) e nel Libro dei Giubilei (2° sec a.C.), 7 sono i maggiori angeli che stanno al servizio di Dio, mentre ha-Satan adesso ha anche un nome proprio, cioè Mastema, ed è pure un angelo ribelle, che viene cacciato dal Paradiso insieme ai suoi complici per aver tentato di prendere il posto del Signore. In altri scritti dello stesso periodo, redatti dalla comunità degli Esseni, si chiama Beelzebub e si dice anche che controlla una schiera di “figli dell’oscurità”, capeggiata da 7 Principi dell’Inferno, e che un giorno, alla fine dei tempi, con il loro aiuto scatenerà una nuova e finale ribellione contro il Regno dei Cieli. Un dettaglio che apparentemente non c’entra nulla, ma che sarà molto utile per capire quello che verrà dopo, lo si trova anche nel Libro di Isaia del 6° – 5° sec a.C. (Isaia 14): parlando di una futura caduta di Babilonia, si descrive il Re della città come un uomo superbo caduto negli Inferi dal cielo, e ci si riferisce a lui chiamandolo “hēlel ben shaḥar”, che oggi si può tradurre in italiano con “Splendente, figlio dell’alba”, o “Lucente, stella del mattino”.

Fra il 3° e il 1° sec a.C., tutto quello che diventerà l’Antico Testamento ebraico viene tradotto in greco, e così si ottiene la Versione dei Settanta. La parola “diábolos” viene usata per tradurre “Satan”, mentre “dáimōn” o “daimónion” per tradurre dei termini come “satiri” o “spiriti tutelari”. E quell’espressione “hēlel ben shaḥar” viene riportata come “Fosforo/Eosforo, sorgente del mattino”, dove Fosforo ed Eosforo derivano da “Phōsphòros” e “Heōsphoros” (phos = luce, heos = alba, phero = portare). Il Nuovo Testamento, invece, viene scritto direttamente in greco fra 1° e 2° sec d.C., e con questo la figura della divinità infernale si arricchisce ancora di più. Si dice che, da dopo la caduta, vaga per il mondo, e che solo dopo la sua seconda ribellione sarà imprigionato negli Inferi. Prendendo in prestito un nome romano, si dice che la sua schiera di demoni si chiama “Legione” (Marco 5:9). Anche se non si specifica mai che si tratta dello stesso essere, viene fatto comparire molte volte: è quello che cade dal cielo “come la folgore” (Luca 10:18), è il tentatore di Gesù nel deserto, è quello che spinge Giuda al tradimento, e sarà l’enorme drago rosso (Apocalisse 12:3) che guiderà la seconda rivolta. E viene chiamato con molti nomi: Diavolo, Satana, Beelzebub, Maligno, Principe di questo mondo, Tentatore, Beliar, Dio di questo mondo, Principe della potenza dell’aria, Grande drago, Dragone, o Antico serpente.

A chiudere il cerchio, poi, ci pensano le tradizioni popolari e le interpretazioni dei Padri della Chiesa. Tutte queste figure vengono dichiarate equivalenti fra loro, e si fanno corrispondere al serpente dell’Eden e al Satan dell’Antico Testamento. Sotto l’influenza di divinità greche e romane come Ade e Plutone, si comincia a credere che anche il Diavolo abbia un suo regno sotterraneo. E finalmente viene data un’interpretazione per quel passo del Libro di Isaia: si parla di un Re di Babilonia generico, senza specificare il nome, e lo si accusa di superbia e arroganza; quel titolo con cui viene indicato, nell’Antico Testamento, viene usato per indicare anche altri uomini illustri che si macchiano della solita colpa e, per di più, Babilonia viene spesso accostata al peccato, alla trasgressione, alla perdizione; e infine c’è quel passo del Vangelo di Luca (Lc 10:18) in cui si parla di Satan caduto dal cielo, proprio come il Re di Babilonia. Perciò si comincia ad affermare che quel Re, quel “Phōsphòros”, non sia altro che una metafora per riferirsi proprio all’angelo caduto.

E infatti la ciliegina sulla torta arriva nel 5° secolo. Antico e Nuovo Testamento vengono tradotti in latino, dando vita alla Vulgata, e quel passo di Isaia viene tradotto con “Lucifer, qui mane oriebaris”, cioè “Lucifero, figlio dell’aurora” (da lux = luce, ferre = portare). E da quel momento in poi, dato che le associazioni che abbiamo visto sono già cotte, mangiate e digerite, ecco che “Luciferdiventa il nome proprio del Diavolo.

Dei miti come quello di Lucifero si trovano già in culture più antiche

Ma perché è stato scelto proprio “Lucifero” per la traduzione latina? Perché “Phōsphòros” per quella greca? E, prima ancora, perché un Re babilonese è stato paragonato ad una “stella del mattino”, ad un “figlio dell’alba” che, a un certo punto, cade dal cielo? Possono sembrare domande inutili, ma non lo sono affatto. Perché, se si va a guardare fra le credenze spirituali di altre culture, si scopre che quel nome e quel motivo della “caduta dal cielo” sono associati a molte altre divinità, anche migliaia di anni più vecchie rispetto al Lucifero cristiano. Come si spiega? Vediamo qualche esempio.

Nell’Antica Grecia, “Phōsphòros/Heōsphoros” è una figura mitologica rappresentata come un bambino nudo che porta una torcia in mano, e simboleggia il pianeta Venere in quel periodo dell’anno in cui appare nel cielo a Est poco prima dell’alba (da cui “stella del mattino”). La sua controparte si chiama “Hésperos” (stella della sera), e simboleggia Venere in quei giorni in cui appare a Ovest poco dopo il tramonto. Questa figura si mantiene anche nella mitologia romana, cambiano soltanto i nomi, diventando “Lucifer” e “Vesper”. Tra l’altro, non dimentichiamo che il pianeta Venere, nel mondo greco-romano, è anche associato a Afrodite e Venere, le dee dell’eros e della bellezza.

Associazioni simili a queste si trovano anche in altre culture. Pure gli Egizi si accorgono di questi moti di Venere, ma non credono che si tratti dello stesso oggetto, perciò lo chiamano con due nomi diversi, “Tiomoutiri” e “Ouaiti”. Stesso discorso in Vietnam, dove le “due stelle” sono chiamate “sao Mai” e “sao Hôm”, e simboleggiano due amanti eternamente separati. Nella mitologia lettone, Auseklis è un giovane dio associato a Venere nel suo aspetto di “stella del mattino” mentre, nella mitologia lituana, la stella del mattino e quella della sera sono due divinità separate, Ausrine e Vakarine, con la prima che è una dea della bellezza e della gioventù. Anche nell’Induismo c’è una figura simile, perché Shukra è una divinità associata a Venere e alla saggezza, e il suo nome significa “chiaro”, “luminoso” o “splendente”.

Ma in altre mitologie si può trovare molto di più. Prendete la tradizione islamica, per esempio: qui c’è Zohra, una bellissima donna, che un giorno cerca di corrompere due angeli, Harut e Marut, per farsi rivelare il modo di ascendere al cielo. Dopo molte resistenze, i due angeli cedono alle lusinghe della donna e le rivelano il segreto, ma Zohra viene punita per la sua presunzione venendo trasformata e imprigionata nel cielo sotto forma del pianeta Venere, mentre Harut e Marut vengono confinati sulla Terra. Stesso copione anche nella mitologia cananea: Attar, dio della guerra identificato con Venere, cerca di usurpare il trono di Baal, re degli dèi, e visto che non ci riesce viene condannato a regnare sull’Oltretomba.

E se proviamo a spulciare fra le civiltà del Sud America che succede? Stessa cosa. Qui c’è Quetzalcōātl, il dio dei venti, della pioggia e dell’agricoltura. Ma è anche il creatore del mondo e dell’umanità, è identificato col pianeta Venere, e il suo nome significa “gemello prezioso”. Esistono numerosi miti che lo riguardano, che cambiano molto a seconda della civiltà e del periodo. Nella mitologia Azteca, per esempio, Quetzalcōātl crea il mondo con la collaborazione di suo fratello Tezcatlipōca ma, siccome i due dèi litigano di continuo, alla fine ne nasce sempre un conflitto che distrugge tutto quanto. Il mondo viene quindi creato e distrutto per quattro volte, fino ad arrivare alla quinta creazione (quella attuale): per poter creare di nuovo gli umani, Quetzalcōātl scende nel Mictlān (l’Oltretomba), raccoglie le ossa dei defunti e, mischiandole con il suo sangue, quando torna sulla terra dà vita alla quinta umanità.

Ma il mito e la divinità più esemplari si trovano nella cultura sumera e babilonese. La divinità è Inanna/Ishtar, che è la dea dell’amore, della fertilità, della guerra e della giustizia. Il suo nome significa “Regina del Cielo”, è associata al pianeta Venere, ed è spesso descritta come una donna giovane, attraente, indipendente, ma anche superba, seduttrice, violenta e manipolatrice. Il mito più famoso che la riguarda è “La discesa di Inanna negli inferi” del 2° millennio a.C.. Inanna scende nel Kur (l’Oltretomba), con la scusa di far visita a sua sorella Ereškigal per farle le condoglianze per la morte del marito Gugalanna. Ma sua sorella sa che è in parte colpevole della sua morte, e conosce il suo carattere, perciò, prima di incontrarla, la obbliga a spogliarsi di tutto quello che ha addosso, in modo da indebolire i suoi poteri. Inanna sta al gioco ma, quando infine arriva al cospetto della sorella, si siede con sfacciataggine sul suo trono, perciò gli Anunnaki, giudici del Kur, la condannano a morte. Ma quello che gli Anunnaki non sanno è che Inanna si è già messa d’accordo con la sua ancella Ninšubur: passati 3 giorni, la donna chiede l’aiuto di Enki e altri dèi, e insieme riescono a riportare in vita Inanna. Suo marito Dumuzid, dio dell’agricoltura, darà la propria vita in cambio di quella di Inanna: da allora, per non far soffrire troppo sua sorella Geštinanna, al dio viene concesso di trascorrere ogni anno 6 mesi sulla terra (primavera – estate) e 6 mesi nel Kur (autunno – inverno).

Lo splendore, la ribellione e la caduta dal cielo sono metafore di emozioni e dei moti astronomici di Venere

Non c’è alcun dubbio: tutti questi miti e queste divinità sono diversi fra loro in moltissime cose. Ma è anche vero che in moltissime altre hanno delle somiglianze straordinarie. Sono divinità associate con Venere, e spesso rappresentano l’amore, l’eros, la gioventù e la bellezza. Hanno dei nomi che richiamano le stelle, il cielo, la preziosità o lo splendore. E ci sono tre motivi che ricorrono più volte: una rivolta dettata dalla superbia, un viaggio o un confinamento nell’Oltretomba, e infine una rinascita o una seconda rivolta.

Come si può spiegare tutto questo? Com’è possibile che dei popoli lontani fra loro nello spazio e nel tempo abbiano concepito delle idee tanto simili? E perché il Lucifero cristiano non sembra affatto diverso? La risposta è semplice: questi dèi e questi miti sono semplicemente delle metafore, prima di emozioni umane, e poi dell’aspetto e dei moti astronomici del pianeta Venere.

Dopo il Sole e la Luna, Venere è l’oggetto più luminoso che si può osservare nel cielo. Impiega 225 giorni a ruotare intorno al Sole ma, visto dalla Terra, sembra che ce ne metta 584 prima di tornare nella stessa posizione. Il ciclo comincia col pianeta che appare a Est, poco prima dell’alba, con una distanza angolare dal Sole di circa 10° (ovest). Per circa 236 giorni, questa distanza aumenta fino a 47°, il che significa che Venere sale sempre più in alto nel cielo e anticipa sempre di più l’arrivo dell’alba, fino a circa 3 ore prima; poi sembra che cominci a tornare indietro, finché non torna a una distanza angolare di 10°. A quel punto scompare per 90 giorni, finché lo si rivede apparire dalla parte opposta, a Ovest, poco dopo il tramonto, di nuovo con una distanza angolare di 10° (est). Per i 250 giorni successivi si ripete lo stesso moto precedente: Venere passa da 10° a 47° di distanza angolare, salendo nel cielo e anticipando sempre di più il tramonto, e infine torna indietro. Dopodiché, scompare di nuovo per 8 giorni, e il ciclo ricomincia da capo quando il pianeta ricompare a Est poco prima dell’alba.

Ecco finalmente spiegato da dove derivano tutti gli elementi del mito. Perché a volte si parla di una “stella del mattino/della sera” anche se Venere è un pianeta? È “del mattino” per via di quel periodo in cui anticipa l’alba, ed è “della sera” per via di quello in cui succede al tramonto. Ed è una “stella” perché in antichità non esiste il concetto di “pianeta”, tutti gli oggetti che brillano nel cielo notturno sono considerati stelle; l’unica differenza è che quelle che non si muovono mai sono chiamate “stelle fisse” (le vere stelle) e le altre “stelle erranti” (i pianeti). E perché queste divinità hanno nomi che richiamano lo splendore e sono spesso associate alla bellezza? Perché Venere, appunto, è l’oggetto più luminoso del cielo, la più splendente delle “creazioni divine”. Il fatto che salga sempre di più nel cielo per poi scomparire quando il Sole sorge o quando il pianeta torna indietro, viene visto come una metafora di qualcuno che, spinto dalla sete di potere, si ribella all’autorità (il Sole/il Cielo), ma senza riuscirci perché quella stessa autorità lo sconfigge. E la caduta dal cielo o il viaggio nell’Oltretomba? Anche questa una metafora, quella di Venere come “stella della sera” che “precipita” e scompare per giorni sotto l’orizzonte. Stesso discorso anche per il motivo della rinascita o della nuova ribellione: è Venere che ricompare dalla parte opposta del cielo poco prima dell’alba.

A questo punto, possiamo finalmente unire i puntini. Tutto parte con un’emozione umana, quella della bramosia di potere e di controllo. Questa emozione viene proiettata sul pianeta Venere, perché i suoi moti astronomici sembrano una perfetta metafora naturale agli occhi dell’uomo antico. Ben presto il pianeta diventa una divinità con un nome e un aspetto umano, e la storia dei movimenti di un astro si trasforma nel mito delle gesta di un essere in carne e ossa. Tanti popoli allo stesso tempo concepiscono storie simili, perché le emozioni umane sono le stesse dappertutto e in ogni tempo, e perché Venere che si sposta nel cielo è un fenomeno che si osserva da ogni Paese. Fino a che, per tutto un gioco di influenze fra popolazioni, traduzioni, interpretazioni, e tradizioni popolari, nel momento in cui nasce una nuova religione (il Cristianesimo) nasce anche una nuova divinità (Lucifero), che porta con sé, come sempre accade, tantissime caratteristiche dei suoi predecessori.

Il pentacolo: oggi simbolo del Diavolo, ieri dell’orbita di Venere

Se tutto quello che abbiamo visto fino ad ora non fosse bastato a convincervi del fatto che Lucifero e Venere sono la stessa cosa, aggiungiamoci anche un altro elemento: il pentagramma. Conosciuto anche come “pentacolo” o “pentalfa”, è il simbolo per eccellenza che viene associato al Diavolo nella tradizione, nella letteratura e nel cinema. Ma da dove deriva quella forma? Nasce con la figura di Lucifero o è molto più antica? La risposta è che proviene proprio dal pianeta Venere.

Come si è detto, Venere completa il suo ciclo ogni 584 giorni. Ma, in realtà, passato questo periodo, il pianeta ricompare nella stessa posizione rispetto al Sole, ma non rispetto alle stelle, cioè non si trova nella stessa costellazione. Perché questo succeda, di cicli da 584 giorni ne deve completare 5, e questo corrisponde a circa 8 anni solari. E allora ecco la sorpresa: se si tiene traccia dei 5 punti zodiacali in cui Venere ricompare dopo ogni ciclo, e si prova a unire questi punti, la figura che si ottiene è esattamente un pentagramma.

Di questo fenomeno se ne accorgono già i Sumeri e i Babilonesi, che infatti usano una stella a 8 punte come simbolo principale di Inanna/Ishtar. In tempi successivi, nella Grecia del 6° – 4° sec a.C., il pentagramma diventa un simbolo sacro anche fra Pitagorici e Platonici. E i motivi sono vari. Ogni lato della figura divide quello che incrocia nella sua sezione aurea. Le 5 punte rappresentano i cinque elementi di aria, acqua, terra, fuoco ed etere. Il numero 5 simboleggia i 5 solidi regolari con cui i Pitagorici pensano di poter descrivere ogni forma naturale, e per i Platonici sta a indicare l’unione degli opposti, perché è la somma 3 e 2, numero maschile e femminile.

La stella a 5 punte trova spazio anche fra i Romani che, guardacaso, la associano alla dea Venere. E addirittura fra i primi cristiani: siccome ha 5 punte, viene considerato un simbolo delle 5 piaghe di Gesù (2 sulle mani, 2 sui piedi, 1 sul petto). Rimane un simbolo positivo ancora nel 13° secolo, tant’è che Heinrich Cornelius Agrippa, nell’ambito della magia rinascimentale e del neoplatonismo, lo popolarizza come uno dei principali simboli magici. E anche nel 14° secolo, visto che compare nel poema “Sir Galvano e il Cavaliere Verde”, dove Galvano è uno dei 12 Cavalieri della Tavola Rotonda e porta un pentagramma sullo scudo.

Ma allora da quand’è che diventa un simbolo negativo e associato con Lucifero? Probabilmente a partire dal 15° secolo, quando la Chiesa inizia a condannare come eretica o diabolica qualsiasi “pratica sovrannaturale” non riconducibile al Cristianesimo. E ancora di più dal 19° secolo, quando l’occultista Eliphas Lévi inizia a diffondere le sue idee: il pentacolo rovesciato è il simbolo della magia nera, del male e del “caprone della lussuria” (cioè Lucifero).

L’aspetto di Lucifero è stato costruito per demonizzare le vecchie divinità

A volte è un uomo dal corpo rosso, con le corna, una coda a punta e un forcone in mano. Altre volte è come un angelo, ma con delle corna al posto dell’aureola, ali di pipistrello invece che piumate, e un colore della pelle scuro e cupo. Oppure ancora sembra un misto fra un uomo e un altro animale, perché ha la testa e le zampe di una capra e le ali di un uccello. O, addirittura, è un mostro di proporzioni enormi con tante facce e tante braccia. Ma se davvero Lucifero non è altro che l’ultima evoluzione di una complessa metafora di emozioni umane e fenomeni astronomici, da dove derivano questi aspetti con cui siamo abituati a vederlo nell’arte, nella letteratura e nel cinema? Ancora una volta, le radici sono molto antiche.

Mitologie di tante culture sono popolate da divinità o altri esseri soprannaturali dotati di corna. Fra i Babilonesi c’è Enkidu, mentre fra gli Egizi ci sono Hator e Khnum. Fra i Cananei c’è Moloch, e fra i Greci ci sono i Satiri e Pan. Nella tradizione romana c’è Fauno, mentre nella religione celtica c’è Cernunnos. E ogni volta, le corna o le divinità stesse sono legati a degli aspetti come la virilità, il potere, la fertilità o la selvatichezza. Stesso discorso si può fare per il tridente, che tipicamente si trova in mano a creature marine come i Tritoni o a divinità del mare come Poseidone e Nettuno.

Nell’Antico Testamento una descrizione di Satan non viene mai fatta, però una divinità come Moloch inizia già a essere passata sotto una luce negativa in diversi passaggi (Lev 18:21, Lev 20:2-3, 2Re 23:10, Geremia 7:31). Anche nel Nuovo Testamento non esiste alcuna descrizione, ma l’Apocalisse di Giovanni attribuisce delle corna e una coda a quel drago rosso che abbiamo già visto (Apocalisse 12), e delle corna anche a numerose creature demoniache (Apocalisse 13). Inoltre, il Vangelo di Matteo usa la metafora di un pastore che separa le pecore dalle capre per descrivere Gesù che separa i beati dai dannati (Mt 25:31-46).

In seguito a tutto quel gioco di interpretazioni e traduzioni che abbiamo spiegato, il serpente è la raffigurazione del Diavolo che viene usata più spesso fra i primi cristiani, mentre nel 6° secolo, nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, fa la sua prima comparsa come un angelo blu affiancato da delle capre. Due secoli dopo inizia ad apparire nei dipinti delle Tentazioni di Gesù e del Giudizio Universale, mentre, dal 9° secolo, comincia ad avere l’aspetto di un uomo-capro con corna, coda, zampe pelose, zoccoli, barba e orecchie a punta. Dal 12° secolo si fa sempre più mostruoso, e infatti, arrivati al 14° secolo, ha le ali di pipistrello o è un mostro con tre teste come quello che appare nella “Divina Commedia”.  Dal 19° secolo diventano popolari anche le immagini con una testa di caprone inscritta all’interno di un pentagramma rovesciato, di nuovo per merito dell’occultista Eliphas Lévi.

Che cosa ne viene fuori da tutto questo? Che, alle sue origini, la metafora ebraica e cristiana del male nel mondo un aspetto definito non lo aveva nemmeno. Ma dopo, siccome la nuova religione si voleva sostituire a quelle precedenti, si scelse di costruire il suo aspetto in modo che incutesse il più possibile timore e ribrezzo e che, allo stesso tempo, ricalcasse le sembianze di alcune antiche divinità. Perché il messaggio per l’opinione pubblica doveva essere questo: qualsiasi divinità venerata prima del Dio cristiano è il male incarnato.

Il Diavolo è un simbolo dell’Ombra della psiche. Ma il segreto della vita è l’equilibrio fra gli opposti.

Il poeta Charles Baudelaire diceva “Il più bel trucco del Diavolo sta nel convincerci che non esiste”. Sono parole che si possono leggere almeno in due sensi, solo che uno è molto giusto, l’altro è solo una comoda frase ad effetto tirata in ballo da chi vuol credere a tutti i costi che il male abbia veramente un nome e un volto. Però un fondo di verità ce l’ha. Perché, se l’emozione della superbia e i moti di Venere possono spiegare le origini di Lucifero, ci vuole molto di più per spiegare tutto il male di cui viene ritenuto il colpevole. Ci vuole un concetto che permette di capire fino in fondo sia la sua figura che tante altre come lui, come Angra Mainyu, Iblīs (Islam), Seth (Egizi), Kroni (Ayyavalismo) o Māra (Buddhismo). Ci vuole il concetto che in psicologia viene definito Ombra: l’insieme di tutte quelle emozioni e pulsioni che tutti quanti proviamo, che ci sembrano irrazionali, insensate, perverse, o sbagliate, e che quindi tendiamo spesso ad evitare. Tutte quelle divinità sono un simbolo di tutto questo, di un “sentire” che fa parte di noi, e che causa il danno peggiore proprio nel momento che scegliamo di ignorarlo, di far finta che non esiste, o di combatterlo.

Come tutte le divinità, anche le divinità del male nascono per dare un volto e un nome a qualcosa che non ce l’ha, per razionalizzarlo, per usarlo come capro espiatorio di ogni nostro problema. Alcuni elementi del mito di Lucifero ne sono già una dimostrazione, così come tante cose che gli sono state associate nel corso del tempo. Agli occhi di Ebrei e Cristiani, i Babilonesi e i Romani erano sia degli oppressori che degli avversari spirituali, ed ecco infatti che un Re di Babilonia viene paragonato ad un angelo caduto, e i seguaci di Lucifero portano lo stesso nome dell’esercito di Roma (Legione). Visto che le antiche religioni erano politeiste, si sarebbe potuto scegliere fra decine di divinità per creare l’aspetto del Diavolo, se proprio lo si voleva fare in modo da screditare i vecchi dèi; eppure, sono state scelte proprio quelle cornute, cioè quelle con l’aspetto più animalesco, quelle più di tutte legare alla sfera degli istinti primordiali. E non dimentichiamo che un legame col Diavolo è stato sbandierato un sacco di volte per spiegare fenomeni come abilità curative fuori dal comune, l’essere mancini, l’avere i capelli rossi o la pelle scura. Detto in altre parole, il Diavolo è una figura che è stata creata per spiegare i nemici, il diverso, chi la pensa in un altro modo, o le emozioni e gli istinti più ancestrali provati dall’uomo. Tutte cose che, però, in molti scelgono di ignorare o combattere.

Quando c’è qualcosa con cui ci resta difficile convivere, perché comporta affrontare paure o imbarazzi, mettersi alla prova, collaborare, o farsi vedere per ciò che si è senza nessuna “maschera”, la scelta più facile è quella di evitare quel qualcosa, perché ci libera da tutte queste “sfide”. E diventa ancora più facile se tutto questo lo trasformiamo in qualcosa di “sbagliato” e ne attribuiamo la colpa ad un essere soprannaturale, piuttosto che a noi stessi o a dei nostri simili. Ma la verità è che la vita è fondata su un gioco di opposti, su una danza fra estremi in cui il segreto è sempre l’equilibrio, la via di mezzo fra i due. Amore e odio, coraggio e paura, rischio e sicurezza, altruismo ed egoismo, originalità e tendenza, collaborazione e autonomia. Trasformare un estremo nel male assoluto e uno nel bene assoluto è molto accomodante, ma è controproducente. Perché, così come troppo egoismo ci allontana dagli altri, troppo altruismo ci fa trascurare noi stessi: la soluzione sta nel mantenere un equilibrio fra i due. E poi, che lo si accetti oppure no, resta il fatto che noi umani non siamo soltanto “mente”, ma anche “spirito” e “corpo”; non solo pensieri, ma anche emozioni e istinti. Pretendere di fare a meno di uno, o di due su tre, è come pretendere di guidare bene un triciclo usando solo una o due ruote.

In conclusione, allora, che cos’è veramente il male? Il male è la conseguenza di scelte che stanno agli estremi, di una mancanza di equilibrio. E non è dovuto alle azioni di un ometto con un forcone, le corna di capra e ali di pipistrello, ma alle nostre credenze e alle nostre azioni. E c’è un lato davvero positivo in tutto questo. Che anche il bene non è nelle mani di un’entità divina che noi dobbiamo soltanto limitarci a pregare. È nelle nostre.

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